‘Perché essere felice quando puoi essere normale?’ di Jeanette Winterson




È pura curiosità quella destata dal titolo insolito, il quale sembra rispecchiare un malessere diffuso nel genere umano. La normalità dettata dai canoni del quieto vivere, dagli stereotipi della vita regolare, dai dettami di norme implicite e condivise. E la felicità che, si pensa, potrebbe derivare dall’inusuale, dall’insolito, dal non convenzionale. Insomma, dai vissuti forti che generano emozioni, e che ci fanno sentire vivi, che producono flessioni di quella linea dritta che spesso rappresenta le nostre vite, intrise di una quotidianità piatta.

Piattezza. E’ questo forse l’aggettivo che meglio caratterizza il romanzo, un romanzo che in realtà è una storia di vita. La piattezza dello stile. Frasi brevi, spezzettate, enunciati che portano da uno stato all’altro, da un luogo all’altro, da un tempo ad un altro, dove il re indiscusso della variegata punteggiatura disponibile per la lingua scritta è proprio il punto. La piattezza dei vissuti espressi. Un costante senso di vuoto - un punto - la perduta perdita, che genera semirette. Genera semirette: da un punto definito - o forse indefinito, e perciò stesso generatore di inquietudine - identificabile con un generico abbandono - generico perché si ripresenta ciclicamente, uguale a se stesso ma sotto diverse sembianze - parte un insieme di punti che va verso l’infinito. Un insieme di punti: un senso di abbandono che si autogenera e si autoriproduce, in attesa che subentri un punto che metta il punto e lasci che l’infinito resti un’entità irraggiungibile per definizione. Semirette, al plurale: le possibilità in cui ciascuno di noi potrebbe imbattersi, a partire da un punto, ma che si escludono vicendevolmente. Semirette che si identificano anche con le scissioni di quest’animo sofferente, che fanno in modo che rasenti la psicosi nel tentativo di contenere un’infinità di puntini troppo sparsi, troppo infinitesimali, troppo distanti l’uno dall’altro, troppo “infiniti”.
La piattezza, l’alienazione, il grigiore pallido vengono ben rappresentati anche dai rimandi alle origini identificabili in una classe operaia inglese costituita da facce inespressive, espressioni meccaniche, una massa di corpi che produce forza-lavoro. Parallelamente, un corpo di massa si muove secondo le regole della Bibbia, legge la realtà associando passi della Bibbia agli eventi e compie azioni quotidiane citando e cantando frasi della Bibbia. È l’Apocalisse che domina i pensieri ed i rimandi. Un’Apocalisse descritta come un uragano e sentita, ancora una volta, come un silente occhio del ciclone.
Anche la Bibbia, però, è un libro, con le sue pagine, le sue parole, la sua lettura della realtà. Ed è proprio l’amore per i libri, quelli della letteratura inglese dalla A alla Z, l’unico distacco dalla piattezza e dal pallore; la presenza della letteratura, dei libri, della biblioteca si propongono come ancore di salvezza che trasportano su colline sognanti segnate dal vento e dall’ebbrezza della vita, in contrasto con distese di asfalto freddo e con file di case altrettanto fredde, che sembrano prodotte su catene di montaggio.
In definitiva, gli amori impossibili, quelli che fortificano, quelli per cui si lotta, quelli che forse amplificano l’abbandono sono il centro del romanzo autobiografico. L’amore in tutte le sue forme: l’amore palese, l’amore nascosto, l’amore filiale, l’amore passionale, l’amore per la natura e per l’arte di scrivere, l’amore mascherato, l’amore per il sapere e la conoscenza.

Perché essere felice quando puoi essere normale? Perché la normalità è un concetto che non ci appartiene. Perché la normalità è qualcosa che ci appiattisce. Perché essere normali non necessariamente implica essere felici, così come è vero il contrario. Perché rincorrere la felicità, sbalzando fuori dalla normalità, è una prerogativa dell’essere umano. E la costante ridefinizione di questo obiettivo, che cambia di volta in volta a seconda delle stagioni della vita, degli umori, dei momenti e delle relazioni, ci consente di attraversare paesaggi variegati che stupiscono i nostri occhi e li fanno brillare, come quando viaggiamo su un treno verso una meta che abbiamo scelto ma che non conosciamo.

Il segno che mi hai lasciato...

«Mi ci è voluto molto tempo per capire che esistono due tipi di scrittura: una la scrivi tu, l’altra scrive te. Quella che scrive te è pericolosa. Ti porta dove non devi andare. Ti fa vedere quel che non vuoi vedere.»

In una parola: Piattezza


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