Parla un'automobilina...




Parla un’automobilina…

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Ho due occhi che mi fanno vedere il mondo anche quando sono spenti, ma con la notte brillano ed illuminano la strada che percorro. Le mie ruote mi fanno scorrazzare di qua e di là con la massima agilità. Mi sposto facilmente senza avere paura delle distanze, perché posso tornare indietro quando voglio e quasi mai mi sento stanca. Anzi, adoro viaggiare ed osservare i paesaggi che cambiano colori, odori e forme man mano che corro. Posso camminare per il puro gusto di vagare oppure avere una meta prefissata, che immagino di calpestare con sempre maggiore nitidezza man mano che diventa più vicina.
I miei finestrini aperti fanno passare il vento che mi accarezza la tappezzeria ed invade i miei tessuti con quel sapore di libertà di cui vado alla ricerca ogni volta che mi metto in moto.

Ma la cosa che adoro di più è essere guidata. Quando un uomo si siede dentro di me, sui miei sedili, provo un senso di completezza estremo. È lui che stabilisce dove andiamo, che afferra il mio volante con decisione e mi provoca i brividi per il contatto con le sue mani; è lui che ingrana le marce e con maestria procede al gioco dei pedali. Riesco persino a percepire il suo stato d’animo da come affonda l’acceleratore, dal modo in cui afferra il cambio e sterza, da come sollecita o solletica il mio motore.

A volte per lunghi periodi sono costretta a fare sempre gli stessi tragitti, che gli umani chiamano “quotidianità”, ma spesso recupero durante gli “imprevisti” oppure in quei periodi chiamati “vacanze” in cui si spostano con me ma sono particolarmente pigri e rilassati. Quando splende il sole può succedere che mi lascino riposare e che vadano a spasso usando le loro ruote, che hanno una forma ed un funzionamento diversi dalle mie. Io non sono solo un mezzo di locomozione per loro: riesco anche a ripararli dalle intemperie ed a fargliele osservare pur sentendosi protetti. Quando cade l’acqua dal cielo, mentre io mi godo la sua freschezza, loro possono impiegare l’intero viaggio a guardare il modo in cui le gocce attraversano i miei vetri e scompaiono scivolando sulla carrozzeria. Insomma, per gli umani io sono anche un po’ un posto dove vivere. Dentro di me fanno tranquillamente ciò che fanno nelle loro capanne. C’è chi mangia, chi canta a squarciagola, chi parla al telefono, chi si dipinge le labbra, chi guarda la propria immagine riflessa in uno dei miei preziosi specchietti, chi mette dentro di me tutto ciò che potrebbe essere utile, chi dorme…

L’esperienza più faticosa che ho avuto è stata anche la più bella. Un umano che non aveva mai girato la mia chiave per mettermi in moto, si è seduto rigido al posto di guida e, tutto carico di adrenalina, ha provato a giocare con pedali, volante, cambio e specchietti. Il risultato è stato che ho dovuto sopportare ore e ore di accensione e spegnimento, perché non riusciva a coordinare i piedi e mi lasciava morire, e quando riusciva a farmi partire mi faceva singhiozzare, mi scorticava il cambio per sostituire le marce, mi frenava e mi accelerava in modo completamente squilibrato e mi faceva cantare la stessa nota per molto tempo perché mi guidava sempre con le prime due marce. Ho stretto i denti ed ho cercato di rimanere vigile, finché un giorno l’umano ha imparato ad usarmi nel modo corretto. Che soddisfazione quando questo è accaduto! Ho condiviso con lui un grande passo verso la sua libertà e la sua autonomia.


È un connubio perfetto quello automobile-uomo.




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