TIC-TAC
Guardo fuori dal finestrino. Il paesaggio scorre veloce sotto i miei occhi scrutatori assetati di emozioni visive. Il sole si nasconde dietro le nuvole e ogni tanto fa capolino, regalando alla terra qualche raggio dorato che finisce dritto dritto sulle colline ancora verdi.
Cullata dai vagoni
oscillanti, mi guardo intorno immaginando i pensieri delle persone
sedute intorno a me. Sono capitata in una carrozza di accaniti
lettori, e la cosa mi rilassa e mi ispira.
Qualcuno ogni tanto
alza gli occhi dal libro per sostituire alla simmetria ed alla
costanza delle righe di inchiostro nero i contorni sfumati dei
nuvoloni minacciosi carichi di pioggia.
Qualcuno alza gli occhi e mi guarda fisso, cercando di leggere,
probabilmente, i miei pensieri.
Le espressioni dei
viaggiatori sono tristemente omologate: guardando continuamente
l'orologio, le loro sagome tentano di sopprimere quella sensazione di
noia che li assale; sembrano voler spingere in avanti le lancette
dell'orologio per far volare questa carrozza di seconda classe in
un'altra dimensione. Portano in giro volti appiattiti e ridotti ad
ovali privi di profondità espressiva, persi in pensieri che mi
sembra di sentire sotto forma di suoni accavallati ma pressoché
distinguibili.
Sono pensieri che
forse non mi interessano, perché si sovrappongono ai miei, che cerco
di scacciare e di mettere a tacere; o che forse non riesco a
contenere, perché sono assorta in un mondo tutto mio, molto lontano
da questo stesso vagone.
Con la massima
discrezione, metto su le cuffie ed accendo il mio
dispositivo lucido e luminoso, alzando al massimo il volume per
coprire il treno di pensieri.
Le canzoni
susseguendosi rovesciano la direzione delle lancette dell'orologio,
che cominciano a ruotare in senso antiorario; scorrendo a ritroso con
lo stesso ritmo veloce delle melodie, il treno in corsa mi porta negli anni Sessanta, sincronizzando, durante il viaggio, i sobbalzi sui
binari con ogni percussione, nota ascendente, irruzione polifonica
delle mie canzoni.
I miei occhi luccicanti non sono circondati da rughe; le labbra carnose non
sono delimitate dai solchi del tempo. Lunghe ciocche di capelli mi avvolgono le
spalle lisce e nude, ma sono tenuti a bada da un largo foulard in
astratta fantasia colorata; un lungo vestito abbondante mi lascia
esperire un profumo di libertà che ero sicura di aver dimenticato.
Mi trovo in un vecchio locale pervaso da una luce soffusa e
popolato da centinaia di spiriti che si lasciano trascinare dalla
musica accuratamente scelta da un sapiente intenditore.
L'odore dei vinili,
il rumore impercettibile della punta metallica che scorre sui solchi
dei dischi, il consueto gesto di chi ci fa gustare vivaci note
armoniose: rivivo quelle sensazioni.
Le vibrazioni
musicali si propagano nell'aria pesante e fumosa e dal mio orecchio
in ascolto danzano verso il resto del mio corpo, trasformandosi in
scariche di elettricità neuronale che scendono fino al mio stomaco e
da lì si impossessano del mio bacino e delle mie gambe leggere. Una
mano decisa stringe la mia e mi invita a dare libero sfogo a quel
moto di espressività travolgente. Gli occhi da orientale sovrastano la bocca che, in armonia con la danza del mio corpo,
riproduce pedissequamente suoni e parole della musica nell'aria,
enfatizzandone la contagiosa vitalità.
Le mie spalle e le
mie braccia si agitano, traducendo le note musicali in linguaggio del
corpo.
Un'imprevista
discontinuità sulle rotaie fa sobbalzare il vagone e mi costringe ad
aprire gli occhi. Mi accorgo di essere in piedi al centro della
carrozza mentre il mio corpo ed i miei pensieri si sono completamente
sbarazzati dei potenti freni inibitori di una ormai compita donna
sessantenne.
Ma non posso
nascondermi né evitare un faccia a faccia con gli sconosciuti
passeggeri divertiti... mi sorprendo a trovarmi di fronte a sguardi
improvvisamente sorridenti, denti in bella mostra dietro bocche con
profondi angoli all'insù e mani che continuano a battere in un
fragoroso entusiasta applauso.
Ripreso possesso
della mia identità, sorrido con lo sguardo abbassato e con finta
nonchalance afferro al volo ai miei bagagli, balzando fuori dalla
porta del treno e tornando con i piedi per terra... la terra di una
stazione sconosciuta.
Libro vuol dire Libero
Libro vuol dire Libero
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