‘Inseparabili – Il fuoco amico dei ricordi’ di Alessandro Piperno
Il tabù del non detto, del volontariamente taciuto,
perché troppo doloroso, compromettente, lacerante da affrontare. Come una palla
di neve che rotolando su un pendio diventa valanga, l’impronunciabile finisce inevitabilmente
per influenzare le vite di chi tocca e si insinua in esse, sferzando la sua
intoccabile eppur visibile forza in chi cerca di tenerlo chiuso in un cassetto,
in un angolo buio, sotto al letto, o in fondo all’anima.
E poi esiste ciò che viene liberamente inteso anche
se non esplicitamente detto. Soprattutto tra persone che, spesso, non solo vivono
sotto lo stesso tetto, ma condividono valori, esperienze di vita, sentimenti,
ovvero tra quelle persone che, obbedendo a meccanismi e dinamiche in parte
conosciuti, in parte inspiegabili, meravigliosamente costituiscono una
famiglia. La condivisione e la diversità fondano i cardini di questi
nuclei, piccoli o grandi, chiusi o aperti, completi o incompleti. Sono proprio
la condivisione e la diversità a contraddistinguere i due fratelli, inseparabili, Filippo e Samuel. Il sole
e la luna; la sfrontatezza e la riservatezza; il grande ed il piccolo; il
contenitore ed il contenuto; la libertà e la costrizione; il sesso ed il non
sesso; questo sono Filippo e Semi. Gli Inseparabili. Anche se la natura li
ha fatti così diversi. Anche se hanno vissuto le stesse esperienze in maniera differente.
Anche se hanno avuto vite divergenti, parallele e soprattutto dissimili collocazioni
nel mondo, nella loro casa, nelle vite di chi li circonda e nelle loro stesse
vite. Filippo e Semi si allontanano e si ritrovano in circoli ricorsivi, in un
tira e molla che sembra caratterizzare il loro rapporto. Un giorno si guardano,
sbalorditi, come estranei, come se nessuno dei due avesse mai conosciuto
l’altro, o come se la vita li avesse completamente cambiati. Un giorno, al
contrario, si riscoprono, complici, come due facce di una stessa medaglia.
Vicende, vissuti, vicissitudini interiori,
visioni del mondo dei due personaggi si intersecano nelle lunghissime sezioni,
mai spezzate dalla delineazione di capitoli. Nella loro descrizione, ed in
quella dei personaggi che gravitano intorno a loro, allo stesso modo si
intrecciano espressioni elitarie, termini inusuali, a volte scelti con
eccessiva ricercatezza, e pugni in un occhio di espressioni gergali e senza
filtri. Il racconto in prima persona che caratterizza certi passi sembra
stonare con tutto il resto delle righe, ma rientra in un’armoniosa sintesi
verbale che si riscopre solo con il senno di poi.
L’angoscia della consapevolezza più volte esplode irruenta,
riferita a disparate circostanze, ma non costituisce, tuttavia, il motivo di
fondo del romanzo; le improvvise prese di coscienza si alternano alla
freschezza di ricordi di infanzia e di adolescenza, al senso di sicurezza
evocato da certe consolidate abitudini ed a determinate tradizioni
pedissequamente riprodotte. Il fuoco dei
ricordi. Il susseguirsi periodico di emozioni a valenza opposta, ricalcate,
evocate e suscitate nel lettore, è rispecchiato dalla velocità delle pagine,
che a volte corrono, altre scorrono lente, riflettendo la lentezza o la
velocità non solo delle emozioni, ma anche del ritmo delle vicende e degli
stessi personaggi che le animano.
Una profonda riflessione scaturisce dall’accento posto
sulla consapevolezza di essere o non essere qualcuno, dall’enfasi sulla visione
solo a tratti lucida di alcuni aspetti della propria vita e del proprio essere,
sentiti come propri, come prolungamenti, o come pezzi appioppati chissà quando
da chissà chi e mai più espulsi; in riferimento a questi pezzi, costrizione e
liberazione si susseguono, dandosi una tregua palese eppure soltanto apparente.
Il segno che mi hai lasciato…
«D’altro
canto, che te ne fai del “dunque” se sei un patito dei prologhi? Mi chiedo se
oggigiorno non sia questo l’orizzonte estremo della depravazione. Forse è
l’inibizione, non il suo contrario, a fare di noi degli esseri realmente
dissoluti. È pur vero che non esiste modo più efficace di onorare il desiderio
che mortificarlo non smettendo di provocarlo.»
In una parola:
Contrasto
Commenti
Mi accorgo che pur non conoscendo il testo la lettura delle tue impressioni/reazioni mi permette di partecipare alla tua riflessione con molta, evocativa suggestione. Shakespeare l'aveva capito: scrivere di emozioni umane distrugge i limiti del tempo e dello spazio, finchè a leggerne saranno umani capaci di evocare quelle emozioni.
Emotività che ritrovo sempre permeata, seppur nella profonda intimità, da una screziatura erotica nel paragrafetto "Il segno che mi hai lasciato".
La parola: in un primo momento mi sarebbe venuto "dicotomia". Motivo: sottolinea il taglio, la divisione, il dualismo di qualcosa che prima era unito e unico. Come è il fatto di essere fratelli.
In seconda battuta mi sarebbe venuto "contrasto": sottolinea la gamma di sfumature, ma anche la ribellione, la divisione, la contrapposizione.