'Come Dio comanda' di Niccolò Ammaniti
Tornano certe note noir, come alle origini con Fango.
La vita e la morte, il presente e il passato, la normalità e la follia, il
reale ed il surreale, il pensiero ed il linguaggio, sono tutti elementi che continuano
ad incastrarsi armoniosamente nei romanzi di Niccolò Ammaniti.
In Come Dio
comanda, i personaggi sembrano tutti accomunati da un disagio, sia esso il
disagio esistenziale tipico dell’adolescente, o mentale dei tre “balordi”, come
vengono definiti nella sintesi introduttiva al romanzo, che si intrecciano nel
corso delle pagine. Un disagio minuziosamente descritto attraverso
una penetrazione e conseguente eviscerazione dei pensieri di ogni singola
figura, pensieri talvolta incomprensibili, altre volte vicini al sentire
comune, quasi a voler sottolineare la sottile linea di confine tra pensieri opposti
e complementari che si incontrano nelle menti.
Intrecciate sono anche le due epoche di vita che si
interfacciano nel romanzo, età che spesso sono protagoniste dei romanzi di
Ammaniti: l’adolescenza e l’età adulta (si vedano Io e Te, Ti prendo e ti porto
via). Un’adolescenza che sembra il preludio del disagio nella vita adulta,
in una continuità che pone quasi i personaggi lungo un continuum al di là del
tempo eppure in uno spazio previsionale, in una sorta di evoluzione trasversale
delle storie.
Ancora, straordinario è l’arco temporale in cui si
snoda la vicenda: molto breve, come accade, ancora una volta, in altri romanzi
(Che la festa cominci). Ciò che
colpisce è l’eccezionale capacità di trarre una storia così articolata, così
ricca di dettagli, di personaggi e di storie di vita in un tempo così piccolo,
a testimonianza della ricchezza di ogni singolo attimo vissuto dai personaggi.
Il racconto nel presente non risparmia, peraltro, il ricorso a brevi quanto
esaustivi riferimenti al passato, flashback ben contestualizzati nella trama
del presente.
Come il tempo, anche lo spazio è molto ristretto,
molto vicino, molto reale. Gli scenari che si incontrano vanno dal soffocante
luogo chiuso (i luoghi di abitazione dei personaggi, caratterizzati da una
proiezione materiale esterna del disagio interiore; il furgone, prolungamento
abitativo ed emotivo dei protagonisti; il camper, nascondiglio furtivo) al
paradossalmente asfissiante luogo aperto (il bosco buio; la tangenziale trafficata
di giorno; la piazza notturna del paese, scenario quasi apocalittico di un
epilogo).
Spazi reali perché circoscritti; tempi reali perché
brevissimi; personaggi reali, perché vittime delle proprie debolezze; scenari
reali, perché frutto della reale perversione umana. E non meno reale è, come
sempre, lo stile linguistico. Uno stile nudo e crudo, diretto e senza fronzoli,
eppure così denso di significati, così evocativo di scene ed emozioni, così
rivelatore di pensieri reconditi. A mio parere, rispetto agli altri romanzi,
viene anche meno quella vena di comicità, quello humour pur sempre presente
anche in storie non propriamente felici.
Come
Dio comanda è evocativo di emozioni scure: lo è lo
stile, come lo è il romanzo nella sua totalità. Dal ribrezzo per certi luoghi
descritti, al disprezzo per alcuni comportamenti dei personaggi; dall’orrore per
l’esito di certe perversioni, alla compassione per quelle perversioni, che
vengono raccontate anche dal punto di vista di che le prova, come un qualcosa
di inevitabile, di logorante, di straziante. Dal terrore empatico per le
vittime di quelle strane pulsioni, vittime solo apparentemente in grado di
difendersene, alla tenerezza suscitata dalla descrizione di sentimenti stranamente
puri.
Il Dio che comanda è un Dio che dà segnali talmente
tra le righe, talmente inafferrabili, che vengono colti ed interpretati solo
dal diretto interessato; è un Dio che intrattiene un dialogo privato e
strettamente personale con ciascuno; è un’entità che, di volta in volta, assume
forme, funzioni e finalità differenti per ciascuno e di momento in momento.
Commenti