Melting Pot
Varcando
quella porta, le sembrò di entrare in un'altra dimensione.
La
strada che conduceva alla casa era in penombra; emanava esalazioni di
leggera umidità estiva e profumava di fiori notturni. Nell'aria si sentivano
solo il ticchettio dei sandali e le espirazioni di fumo di sigaretta. Miriam
percepiva che man mano che si avvicinava a quell'incontro le sue gambe
diventavano più leggere, il cerchio alla testa si allentava, le palpebre non
erano più così calanti e l'angoscia che era solita portarsi dietro ovunque
andasse le aveva concesso un attimo di respiro a pieni polmoni.
Certo,
si sentiva strana, perché l'evento era a dir poco insolito; non sapeva cosa
aspettarsi e, anche se l’effetto sorpresa non le dispiaceva poi più di tanto, sentiva
in circolo tutta l'adrenalina che il suo corpo fosse in grado di produrre.
Durante
la lenta agonia, Marco aveva ripensato quotidianamente a tutte le persone
capaci di lasciare un segno nella sua breve vita. Ne aveva scritto il nome,
ciascuno su un foglietto ripiegato poi con cura, affiancato da una sola parola: un aggettivo che potesse
racchiuderne l'essenza. I fogli sparsi erano gelosamente custoditi nel comodino accanto al letto, oltre che nella sua memoria di ricordi vividi.
Era
stato Dario a trovarli, con grande sorpresa. «Marco non era affatto una mente scontata. Gli piaceva stupire. Conosceva persone di tutti i tipi e geograficamente sparse ovunque.
Non so a quali volti corrispondano questi nomi, ma sono pezzi di vita che non
possono restare chiusi in un cassetto», aveva spiegato a Miriam, qualche sera prima al telefono.
Miriam –
Riflessiva;
Aurora –
Libera;
Christian
– Meravigliato;
Pericle
– Sereno;
Lavinia
– Dorata;
Dario – Sorridente.
Erano
aggettivi semplicissimi, ma nel complesso sembravano descrivere un ideale di
vita a cui la maggior parte degli uomini aspira.
Fu per
questo che, qualche tempo dopo, a Dario era balenata l'idea di cercare tutte le
persone di cui Marco aveva scritto il nome e riunirle, per guardare che faccia
avessero, scoprire che tipo di vita conducessero, ricercare nella loro presenza
quegli aggettivi che Marco aveva ermeticamente attribuito ad ognuno e, perché
no, ascoltare quale aggettivo, al contrario, ciascuno di loro avrebbe
attribuito al ragazzo da poco andato via. Decise così di convocare tutti a casa di Marco, come se
fosse stata una festa, nel modo in cui proprio lui era solito organizzare le feste, e
soprattutto come se lui fosse ancora lì.
Quando
Miriam giunse davanti al cancello, fu assalita da un’ondata di ansia.
Era una
persona curiosa, Miriam; ma il pensiero di conoscere nuove persone la
entusiasmava ed al contempo la rendeva nervosa, per la paura di non essere
all'altezza delle situazioni, di apparire goffa, di non piacere, o di passare completamente
inosservata. In realtà, ciò che maggiormente la terrorizzava era prevedere la
reazione che avrebbe avuto nel toccare con mano il mondo di Marco. Dopotutto, non
era mai stata a casa sua; i due avevano, infatti, un rapporto non proprio
canonico. Erano amici da tempo ma non si vedevano spesso; potevano trascorrere mesi
e mesi, prima che uno dei due avesse notizie dell'altra e viceversa. Eppure,
ogni volta che si vedevano nulla sembrava cambiato dall’ultima volta
che si erano incontrati. Dalle bravate adolescenziali ai profondissimi
discorsi notturni con sottofondo di grilli canterini, ogni dettaglio rimaneva intrappolato nell'incalzare delle loro rievocazioni.
Miriam prese
un respiro profondo e finalmente si decise a schiacciare il dito sul
campanello. Le vennero incontro due persone: un ragazzo sicuro di
sé, con il pizzetto che incorniciava labbra sottili espanse
in un sorriso spontaneo, ed una ragazza che ispirava libertà, per il modo
leggiadro in cui camminava nella penombra e dondolava le braccia al ritmo dei
suoi passi. Erano Dario ed Aurora. Miriam si sentì immediatamente a proprio agio.
Le luci erano soffuse ed aleggiava nell'aria una musica soft. Gli animi erano
insolitamente distesi. L'atmosfera sembrava dar voce ad una gioia silenziosa. Prendeva
vita gradualmente un gioco di sguardi che alimentava una impensabile complicità
tra persone sconosciute, quali erano. Il clima regnante in quella casa portò
Miriam a non sentire affatto l’esigenza di guardarsi intorno, oltre quel cerchio di volti
nuovi; la ragazza era estremamente concentrata a godersi quello stato di
insolita calma.
Oltre
la porta del salone si apriva un giardino, piccolo ma molto accogliente, con un
gazebo ed un grande tavolo di legno a cui si accostavano lunghe panche dall’aria consunta. Miriam si sedette accanto ad una donna che sembrava emanare raggi
dorati; era Lavinia. Sulla stessa panca, vestito di un’espressione ancora incredula,
Christian si sporgeva, con i gomiti poggiati sul tavolo, verso un uomo dai
capelli ricci seduto proprio di fronte: Pericle. L’espressione
rilassata, gli occhi leggermente allungati dietro gli occhiali rotondi, Pericle
sorseggiava un bicchiere di vino.
Accantonati
rapidamente i convenevoli, i sei sconosciuti, chiacchierando, si ritrovarono ben presto ad
intavolare discussioni coinvolgenti quanto impegnative. Si conobbero così, senza
chiedere né fornire informazioni solitamente rilevanti per ignoti al primo
incontro; si avvicinarono l’un l’altro in un salto verso la scoperta avida delle
qualità profeticamente sintetizzate da Marco.
E
mentre condividevano quel momento lontani dal mondo, lontani dal tempo, lontani
dai rumori e dalle etichette, lontani dalle maschere, dalle ipocrisie, dai
doveri e dalle chiacchiere, sentivano che Marco era proprio lì con loro.
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