'Una piccola storia ignobile' di Alessandro Perissinotto



Mi piace l'affiancamento dei ruoli psicologa-detective.

Una coppia di ruoli che non sarà piaciuta altrettanto alla protagonista del romanzo, la quale accetta un incarico, ricondotto alle sue competenze in maniera molto forzata, per soldi.
Sì, per soldi; non per la brama di denaro, bensì per poter degnamente vivere. Una psicologa, quindi, che viene raffigurata in maniera abbastanza diversa da come è percepita dal senso comune: non è una professionista che aiuta la gente perché affetta dalla sindrome della crocerossina, ma svolge un lavoro che come tale merita retribuzione; una psicologa che, contrariamente a quanto in maniera dilagante si pensi, non legge il pensiero della gente e non interpreta i sogni di pazienti sdraiati sui lettini; una psicologa che, come tutti gli umani, affianca alla lucidità ed alla razionalità un turbinio di emozioni, paure e sofferenze; una psicologa che può avere problemi nella vita e non essere necessariamente in grado di risolverli da sola e "autocurarsi".
Questo è quanto ho visto in Anna e la mia valutazione del romanzo non può prescindere da un aspetto che mi tocca così da vicino, essendo io stessa psicologa. 
Correrò il rischio che il commento al libro possa apparire riduttivo, ma, in realtà, intendo sottolineare che il modo di essere, di agire, di pensare e percepire della protagonista mi è parso molto verosimile.

Pochi personaggi sbucano dalla fitta nebbia e dalla pioggia sottile che incombono costantemente sui luoghi del mistero. Si intrecciano, per motivi che vanno disvelandosi pian piano.
Pochi i colpi di scena e non eclatanti.
Si sente forte, invece, l'Italia che presta ancora valore alle classi sociali, troppo vistose per gli anni Duemila e fautrici di differenze velate, di trattamenti diversificati, di arroganza e quant'altro; un'Italia che si piega al doppio cognome, simbolo di discendenze nobili.

Due punti mi lasciano perplessa. Il primo è l'eccesso di razionalità della protagonista, in certe situazioni, utilizzata per difendersi dalla paura, dal terrore, dall'orrore, come lei stessa spiega, ma che sfocia nella descrizione di meccanismi fisiologici e di termini anatomici al cui utilizzo non ho saputo dare una spiegazione convincente. Il secondo è il continuo riferimento ad un mal di schiena che risulta, secondo me, accessorio nell'economia della storia, perché non altrimenti approfondito.
Un punto mi lascia, invece, sgomenta: un refuso nelle prime pagine, che non mi sarei aspettata (e che non posso accettare).

Scorrevole la storia, reali i luoghi e realistici i personaggi.
La morte, la nebbia, il mistero ben si intrecciano con l'amore, con la passione, con la voglia di ricominciare.


Il segno che mi hai lasciato:

«In certi casi» mi diceva ogni volta che io lo beccavo, «ti ritrovi in una situazione che sembra portarti per forza al sesso. Sei lontano da casa, magari per lavoro, e nasce una complicità, un desiderio reciproco al quale non puoi resistere; anche se lo sai che il giorno dopo non rimarrà più nulla. Anzi, lo fai proprio perché sei sicuro che non resteranno strascichi e che la donna che ami è sempre la stessa e la ami con la stessa intensità. Sai che quei momenti di sesso, di gioco direi, non le hanno sottratto nulla.»

In una parola: Nebbioso

Libro vuol dire Libero

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