'Nemico, amico, amante...' di Alice Munro


Cominciamo con una breve premessa: le frasi che contengono i puntini sospensivi non mi fanno impazzire. Quanto potrebbe, di conseguenza, attirarmi un libro il cui titolo contiene puntini sospensivi? 
Non mi piacciono neppure le raccolte di racconti. Sono troppo frammentate; mi infastidisce il non riuscire a legare i racconti tra loro e, soprattutto, ogni volta che una storia si schiude davanti ai miei occhi, devo ristrutturare la scena, catapultarmi in una nuova ambientazione, imparare tutti i nomi dei personaggi e abituarmi alla loro presenza.
Infatti, l'unica raccolta di racconti che abbia letto è Branchie, ma solo perchè scritta da Ammaniti. Che, per inciso, mi è piaciuta.
Ad ogni modo, un regalo è un regalo e va sempre onorato.

Data la premessa... sarebbe affrettato giungere ad una conclusione. E con quest'ultima proposizione, vado pure contro il mio personale principio dell'utilizzo extraparsimonioso dei puntini sospensivi.

D'altra parte, giungere ora ad una conclusione significherebbe non prendere affatto in considerazione la fase centrale, cruciale e delicatissima, di lettura del libro. Fase durante la quale, nel caso specifico, in maniera davvero curiosa, ho improvvisamente realizzato di aver assorbito le sembianze della copertina (si veda la foto che accompagna questo post).

Come accade di solito da qualche mese a questa parte, durante la lettura ho tentato di prendere qualche appunto al quale appigliarmi per redigere degnamente il commento. Al quarto racconto ho smesso. Ho trovato molto più naturale abbandonarmi alla lettura, affidandomi esclusivamente a ciò che la memoria (emozionale, visiva, narrativa) avrebbe fatto riaffiorare dopo aver concluso l'ultima pagina. Ecco che mi torna alla mente Quello che si ricorda.

Cosa mi è rimasto? 
Innanzitutto, un volume pieno di pieghe agli angoli superiori delle pagine. Piego una pagina quando mi imbatto in una frase, un aneddoto, un passaggio dai quali mi sento particolarmente attratta, per contenuti o per forma. 
Ho sentito crescere, man mano che proseguivo nelle pagine, l'impressione che i racconti si susseguissero in un climax ascendente di bellezza, di coinvolgimento, di profondità, culminante in The bear came over the mountain.
Ho visto sovvertire la mia convinzione che il racconto in terza persona fosse più adatto ai miei gusti: nei racconti in prima persona, mi sentivo la voce narrante (soprattutto in Queenie).  
Mi piacciono i colpi di scena; li trovo briosi. Pochi colpi di scena hanno animato i racconti (Il ponte galleggiante, Ortiche), che non per questo sono stati meno appassionanti.
L'ancoraggio spazio-temporale è un altro aspetto fondamentale, per me. Il maestoso Canada ospita i personaggi; eppure, non sempre sono riuscita a collocare precisamente i racconti nel tempo. Questo ha una valenza negativa? Credo di no, perché ha conferito ai racconti un'aura peculiare, relativizzando una coordinata, in valore assoluto, indispensabile. 

C'è un filo conduttore nei racconti? Io l'ho trovato: si tratta, certamente, di qualcosa di intimamente legato alla mia soggettività. Eppure, sono sicura di aver toccato con mano il senso di solitudine in ciascuno dei personaggi. Una solitudine che non mi azzardo a qualificare ulteriormente, perché muta, latente, profonda

Mi astengo anche dal riportare Il segno che mi hai lasciato. Troppi bellissimi passaggi, persi nell'armonia di una prosa semplice ed elegante; non riesco a sceglierne uno.


In una parola: Solitario 

Libro vuol dire Libero 


 

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